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Un vorticoso giro di termica (di Marco Littamé - parte 3)

littame famiglia 2Mi è sempre piaciuto guidare veloce. Veloce e pulito.

 

 

littame famiglia 2Patisco chi accelera a fondo, frena all'ultimo e disegna angoli retti in curva. Tanti anni fa un mio amico mi propone di partecipare ad un mini rally in collina; al tempo era tutto più facile, forse non mi hanno neanche chiesto la patente. La macchina ce l’aveva prestata suo cugino, una 112 Abarth che usava per fare il cretino.
“Dai Marco, è anche elaborata e poi dobbiamo solo tirare un paio di freni a mano, mica andiamo lì per vincere!”.
Mi risveglio dal tormento di tanta insistenza, alzo gli occhi, lo fisso due secondi …
“Andiamo a prenderla!”.
Definirla auto da corsa era un po' esagerato: era stata completamente verniciata di nero con la bomboletta e ogni tanto l'artista in vena di ispirazione aveva aggiunto qualche macchia di giallo ocra per completare l'opera. Sembrava un coleottero. I fari erano stati rimossi, il fondo era completamente marcio e si entrava da una porta sola
”Però guarda che marmitta gli ha messo ...''.
“... ma vaff …”
Ci lavoriamo due giorni interi. Con un paio di staffe saldate sotto la scocca ci assicuriamo almeno di non finire col culo per terra, cambiamo completamente la benzina, puliamo il carburatore e i filtri, trascorro tre ore a registrarmi la leva del cambio e la frizione e, infine, piantiamo due cunei di legno tra le molle degli ammortizzatori per renderla più rigida.
Il motore le faceva onore, non so quanti CV erogasse, però, girava bene! Infine, rischio di farmi venire il gomito del tennista per togliere i chiodi da due gomme anti neve che prenderanno posto anteriormente. Dietro due marcioni gonfiati poco. Il blocco del freno a mano era già a stato rimosso e un vecchio sedile ‘Sparco” avvolgeva degnamente il mio fondoschiena.
Nessun giro di ricognizione: è consentita solo una passeggiata a piedi. Il percorso è di circa 1 km, misto tra asfalto e terra. Al primo giro vado lungo, staccando troppo tardi: retro, retro, retro e nel frattempo grattuggio mezzo chilo di parmigiano. Spengo il coleottero, ingrano la retromarcia, con calma, rimetto in moto e finisco il giro in prima al minimo. Ciao ciao tempo.
Il mio amico li per li non capisce; io sto cercando di capire. Quando salgo sul podio ho la testa bassa, sono incazz ... nero, mentre mi ripeto “4 decimi, 4 decimi, 4 decimi ...”. Ripasso mentalmente tutto il percorso e cerco di capire dove ho sbagliato. I piloti del giro mi guardano come se fossi sceso dalla luna, qualcuno lo avevo visto curiosare intorno alla 112. Un timido sorriso inebetito ad un certo punto compare sul mio viso e mentre il pilota al mio fianco sorseggia champagne io già scambio sguardi sempre più furtivi con la sua fidanzata …
Quando, dopo molti anni, mi hanno chiamato per portare col mio carroattrezzi la 112 in demolizione ho pianto. Da quella volta non avevo mai più corso in auto.

Ho avuto la fortuna di gareggiare ed essere battuto dai più forti piloti al mondo in questo ultimi vent’anni; per tutti il tratto distintivo, quasi una sorta di segno di riconoscimento, non è tanto la capacità di salire in termica o l’abilità nel tirare la speed; niente di tutto questo: quello che accumuna questi top pilots è l’umiltà, semplicemente l'umiltà.
Ci sono piloti che hanno vinto molto, pur non meritandolo, e altri, invece, che hanno vinto poco o nulla, pur essendo piloti di altissimo livello. Per conto mio, mi sono letteralmente mangiato due Mondiali che, ogni tanto, fanno riaffiorare un po' di nostalgia. Il primo in Portogallo: sono arrivato corto di pochissimi metri sulla linea di meta, al tempo non esistevano ancora gli scarti e se non si tagliava la linea del goal si era eliminati dai giochi. Il giorno prima avevo vinto la task, ero riuscito a scappare dal gruppo salendo meglio in una termica insieme ad un giovane pilota svizzero le cui vittorie non si conteranno più negli anni a venire, Stefan Wiss. Verso la fine del percorso, lui non prende rischi, aspetta il gruppo e io chiudo con qualche minuto sugli inseguitori. Il giorno dopo in decollo, dopo avermi osservato qualche secondo, si avvicina niente popò di meno che Christian Maurer, scambiamo qualche parola, mi fa i complimenti per la task e poi mi saluta e se ne va. Due passi, si volta e mi chiede:
“Che vela voli?”

Credo di essere stato uno degli ultimi piloti in gara ad aver imparato ad usare le B per pilotare nei traversi. Non che non le usassi mai, ma quando stava per arrivare la legnata, per fermare la chiusura, mi appendevo ai freni. Troppa paura! Un pilotaggio di questo genere fa perdere quota, tempo e, di conseguenza, prestazioni.
La differenza di temperatura tra Andrate e Borgofranco è prevista di 4 gradi, finalmente una giornata buona! Mentre salgo in decollo, i cumuli sono già ben formati sulle Alpi e si intravede anche qualche batuffolo bianco in piana. Scelgo un percorso facile, che conosco bene e che mi consenta di recuperare anche se faccio errori: Belice-Grissino e ritorno. Scommetto con me stesso di arrivare sulla verticale della famosa Torre, in mezzo alla Serra di Ivrea, entro l'ora: non mi è mai riuscito! Non so bene quanti km siano, ma sono tantini.
Decollo, faccio base in fretta, mollo completamente i comandi, prima, seconda speed, piede destro appoggiato sulla terza della mia Bullet, mi attacco alle B e percorro, con due termiche e mezzo,il tratto che separa Belice da Cavallaria.
Stare solo con le B in mano mi fa paura, mi vengono in mente mille pensieri, il primo ovviamente non può che essere rivolto ai miei bimbi e alla mia famiglia, a mio papà che non sta molto bene, al rischio di farsi male e così via. Dopo circa mezz'ora, tra termiche a +4 con la speed a stecca incomincio a darmi del cogl… La barretta trasversale che permette di controllare la vela trazionandola, mi fa sollevare dalla seduta e, dopo un po' di prove, trovo che il giusto compromesso sia posizionare le falangi delle mani poco sopra, direttamente sulle bretelle a trazionare verso di me per il controllo. Bingo! Col trascorrere dei minuti mi trovo sempre più a mio agio e la sola idea di tornare ai comandi mi terrorizza. Guardo l'ora: 55 minuti e qualche secondo. Il Grissino è ormai sul mio cono di planata, ma la meravigliosa convergenza della Serra, che mi ha concesso di correre fino ad ora, mette in ombra tutta la zona. Voglio tornare, i miei bimbi mi aspettano in atterraggio e ho una voglia matta di abbracciarli.

Un contadino mi osserva per alcuni minuti prima di avvicinarsi, io sto piegando in fretta e sto già studiando come fare per tornare veloce. Sono a Bollengo, sotto il Grissino, sul bordo del campo coltivato e forse ho pestato qualcosa di seminato. Quando il contadino è a pochi metri da me, non mi faccio prendere in contropiede e mi scuso con lui. Ha mani grandi e nodose e un sorriso amaro sul viso, dimostra sì e no 60 anni. Non è indispettito e chiacchieriamo alcuni minuti. Gli spiego da dove sono partito e come vorrei tornare, ovvero facendo l’autostop!
Trascorre ancora qualche momento, si gira e se ne va. Invece, mentre attraverso il cortile della sua cascina lo vedo tornare con una vecchia Ibiza, abbassare il finestrino e gridarmi un energico:
“Sali!”
Mi racconta tutto della sua vita e a volte sembra sul punto di commuoversi. Trascorriamo insieme poco meno di un'ora. Siamo arrivati, è il momento dei saluti e voglio sdebitarmi con lui, pagargli almeno da bere, ma non c'è verso, mi saluta con un arrivederci che non tradisce le sue origini piemontesi; voleva semplicemente parlare con qualcuno e io l'ho lasciato fare. Non aveva su e giù 60 anni, ma solo 45, un matrimonio andato in malora e un mucchio di lavoro arretrato per via del brutto tempo.

Per l’week end danno pioggia. Han volato bene tutta la settimana, ringrazio i santi in paradiso e mi prendo un paio d'ore per volare giovedì. Salgo a piedi, sacca in navetta: questa è l'hike and fly dei garisti!
Cumula, ma la base è appena sopra il decollo; grigio piemontese ovunque e foschia londinese.
Decido di volare e di fare il contrario di quello che avviene in gara, ovvero volo piano. Anzi, per essere più preciso, non uso la speed, la mia amata Bullet. É un esercizio di fino, si deve far volare la vela correggendola il meno possibile; ogni beccheggio, imbardata o rollio in eccesso regala metri invisibili alla gravità. É difficile o meglio, impossibile, quantificare quanti metri si sprecano facendo fare all'ala inutili movimenti, ma se si prova ad immaginare quanta benzina in più si consuma con una guida cosiddetta sportiva il conto è presto fatto.

Quando volo ho una compagna di viaggio, fidata e sempre presente: la paura. Tutti i piloti ce l'hanno, chi più, chi meno. Se qualcuno afferma il contrario, mente. La paura è il campanello d'allarme, la vocina che sussurra all'orecchio, l'asticella che separa da un incidente o, addirittura, dalla morte.
Da quando volo ho avuto un solo incidente degno di nota, durante i Mondiali del 2005 in Brasile, a Governador Valadares. Non ho visto un cavo in un atterraggio di emergenza, o meglio l'ho visto in ritardo, virata secca, spenzolata, e fiondata violenta contro il terreno: game over! Torno in Italia con tre fratture al bacino e un polso che ricorda il sifone di un lavandino.
Il mio primo pensiero?' “Ho finito di volare!” Il secondo? “Torno più forte di prima!”
Quando l'ortopedico mi ha concesso di deambulare con una sola stampella anziché con due, ho preso la macchina, sono andato a Piossasco, mi son fatto prestare una vela e sono decollato.
Anni fa ho parlato di paura con uno dei più emblematici talenti della storia del parapendio, che ai miei occhi pareva di ghiaccio, ma che, invece, ho scoperto essere un uomo vero: Jimmy Pacher.
Avevamo amici in comune, gli spettri nell’armadio e in volo condividevamo gli stessi timori.
Quando volo, convivo con la paura e, a seconda del periodo, della forma e dello stato mentale, essa si presenta più forte o più debole; per impedire che questo sentimento prenda il sopravvento, la trasformo in una sorta di tensione o concentrazione e in gara, salvo situazioni particolari come dopo l'apertura dello start, scompare quasi del tutto!

Essere al 100% è essenziale. Se dovessi essere interrogato dopo una gara potrei, tranquillamente, fare la telecronaca completa di tutte le termiche e i traversi, ovviamente dal mio punto di vista. Del paesaggio da me sorvolato non conservo quasi nessun ricordo, in quanto in gara non è un elemento importante.
Per questo si devono risolvere a terra gli inconvenienti che possono creare disagio e far perdere concentrazione per aria. Uno fra tutti? L’uso degli strumenti.
Spesso vengo bonariamente rimproverato per avere una consolle un po' obsoleta: non ho uno strumento cartografico e utilizzo pochi dati essenziali. Meno complicazioni meno problemi. Dopo così tanti mesi di inutilizzo mi accorgo, però, che se chiudo gli occhi un attimo e ripenso alla posizione dei dati sullo strumento mi dimentico qualcosa.
Domani è buona, scarico i waypoint della Cavallaria e imposto una task. Ovviamente il giorno dopo è tutto coperto. Maledico Antonio Sanò e vado a lavorare con il GPS appoggiato sul cruscotto della macchina …

Lisa ci sta mettendo a dura prova, di notte dorme male, si sveglia in continuazione e, proprio per non farsi mancare nulla, non tradisce le sue mezze origini pugliesi: invece di parlare, infatti, lei urla! Io non volevo figli, la mia libertà prima di ogni cosa. Poi la vita prende direzioni inaspettate ed eccomi qui a cambiare pannolini con velocità e precisione, preparare colazione, pranzo e cena, controllare e prevedere ogni cosa: tutto sotto controllo.

Una qualità che i garisti sviluppano in modo evidente rispetto a chi si dedica semplicemente al volo di cross è il controllo del campo visivo: più informazioni si riescono ad elaborare nel minor tempo possibile, più risposte si avranno a disposizione per il proprio volo. Ciò è molto evidente soprattutto in termica: ogni pilota osserva tutti gli altri nel proprio raggio d'azione e, al minimo accenno di termica migliore della propria, si sposta velocemente. Disporre, pero, di un buon campo visivo si riflette anche in seno alla sicurezza, saper veder lontano, prevedere cosa potrebbe succedere rispetto, per esempio, ad un fenomeno metereologico potrebbe in alcuni casi preservare anche da spiacevoli conseguenze.
Andrate, marzo 2005. Giornata stranamente molto stabile e con gran foschia; si galleggia a malapena sopra il decollo e dopo mezz'ora mi trovo in atterraggio a ripiegare. La giornata è ancora lunga e, affamato di volo, torno in decollo, dove trovo altri piloti che stanno aprendo le loro vele.
Sono ormai le 15.00 e la giornata sta volgendo al termine; si prospetta poco più di una planata o, al massimo, una dolce restituzione serale. La mia attenzione è catturata un pilota che sta termicando a poche centinaia di metri dal gruppo di cui sono parte. Ad un certo punto inizia a salire bene, guadagna almeno 600/700 metri e continua coi suoi 360°. L'euforia contagia i presenti che si precipitano a decollare. A me la situazione non convince, anzi puzza decisamente. Certo non ho molta esperienza, ma che la giornata abbia il suo miglior momento a quell'ora non mi convince affatto, Mi volto verso Ovest e una barbula sfilacciata passa a poche centinaia di metri da noi ancora in decollo. Mi avvicino e scambio due parole a tal proposito con un carissimo amico, l’istruttore locale Franco Bonavigo, che solerte mi accompagna lungo la strada che porta verso Andrate. Da lì ho la possibilità di guardare a nord, verso la Valle D'Aosta.
Immediatamente comprendiamo cosa sta succedendo: il cielo è diventato più limpido, sta entrando vento da nord. In pochissimo tempo lo capiscono anche i piloti in volo che, vento in culo, atterrano decine di km più a Sud, con le chiappe strette.

Manca poco alla partenza per il Brasile, è ora di cambiare marcia.
Giornata buona, cumuli un po' ovunque e solite facce in decollo.
Saluto, apro, decollo, faccio base e inizio a spingere sulla Bullet, cercando di mantenere una velocità superiore rispetto a quella che si terrebbe durante una normale gara. Gli errori, ovviamente, si moltiplicano, obbligandomi a recuperi repentini e alquanto difficili. Volando sempre da solo ho adottato nel corso degli anni un sistema sicuramene un po' estremo, ma efficace: se vedo un pilota che mi precede ad una certa distanza, scommetto con me stesso il tempo che ci metterò a sorpassarlo!

“Mandri - così mi chiama Federica - sai quel costruttore di cui vendo le case, che sta costruendo quelle quadri familiari a San Raffaele Cimena?”
“Quanto tempo abbiamo?”, dico io
“Quanto tempo per cosa?”
“Quanto tempo abbiamo per decidere se comprarla o no?”
“Ma come facevi a saperlo?”
“Lascia stare …”
“15 giorni”
“Ok, hai due cordini?”
“Due cordini? Per fare cosa?”
“Uno per strozzarti”
“E l’altro?”
“Per legare il sacco per farti sparire!”
“É bella? Ti piace?”
“Moltissimo, ha un terrazzo enorme e poi …”
“Ok, va bene!”
“E adesso dove vai?”
“A comprarmi un paio di pantaloni per scalare, quelli vecchi hanno l'elastico che non tiene più.”
“E non vuoi neanche andare a vedere la casa?”
“Poi mi ci porti; io vendo auto, le case le vendi tu, mi fido, ciao!”

Mi piace moltissimo scalare, ma posso praticare l’arrampicata sportiva solo d'inverno, quando la stagione gare parapendio è sostanzialmente ferma. Sebbene gli elementi su cui si gioca la partita sono diametralmente opposti, questi due sport, o arti, presentano diverse affinità: come in parete, così in aria sei completamente da solo e, anche se qualcuno ti suggerisce il movimento o ti guida attraverso la radio, solo tu percepisci in quel dato momento l'equilibrio precario o la massa d'aria in cui ti muovi. Tutto ciò rende le due discipline molto introspettive. In arrampicata, inoltre, la componente fisica è quasi predominante e, per forza di cose, ti induce a mangiare meno e meglio. Questo purtroppo va in contrapposizione col volo: più pesante sei e meglio è!
Simond elasticizzati da 34,99 € taglia S, vado sul sicuro. Entro in camerino a provarli ed un’amara realtà mi rovina nuovamente la giornata dopo l’inaspettata notizia della casa: un salvagente mezzo sgonfio affiora intorno al mio girovita. Muovo la mano, sia mai abbiano pensato bene di sostituire lo specchio con un poster di uno sfigato un po’ ingrassato, scuoto la testa come un cavallo e prendo lo smartphone e mi fotografo.
“Fede, guarda come mi stanno sti pantaloni, a parte sta trippa sono molto belli!”
“Di culo sono perfetti, e tanto lo so che hai già deciso di prenderli!”
Torno a casa, tolgo il neoacquisto dalla busta e lo appendo al gancio sul soffitto, proprio davanti alla porta di uscita.

Non mi sono mai drogato. Al Liceo ero l'unico di 27 studenti a essere rimasto vergine di canna. Erano gli anni ‘80 e l'eroina a Torino scorreva a fiumi. Ai tempi uscivo con una studentessa del Santorre di Santa Rosa, scuola per dietiste. Ricordo che la sua migliore amica le invidiava il culo, il suo, diceva lei, era piatto, ma era molto carina. Più avanti lasciò la scuola, la rividi anni dopo in televisione, faceva l'attrice. Sapeva scegliere bene i letti in cui dormire.
Con la mia fidanzatina ero solito trascorre momenti spensierati in un giardino in cui, poco distante da noi a 50 metri circa, vedevo tossici con la siringa in vena che viaggiavano in economy con poche lire. Ho perso amici e conoscenti a causa della droga, ho visto famiglie perbene ridursi in schiavitù. E ho una paura folle per i miei figli …

(continua)

Marco Littamé

nella foto l’autore con quasi tutta la famiglia

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